Gianfranco Labrosciano, Natural-mente, 2013

Gianfranco Labrosciano, Natural-mente, 2013

Nelle opere di Delfo Tinnirello la crisalide dell’arte esplode con la forza di una rappresentazione catartica della vita rappresentata come trionfo, come festa celebrata all’unisono con un sentimento panico della natura e del mondo, o della natura del mondo, che tutto assorbe e accoglie – persino la solitudine, la svagata solitudine degli uomini – in una dimensione salvifica e totalizzante che tonifica mentre la forza prorompente del particolare esalta, canta all’unisono con l’insieme circostante una sorta di magistrale sinfonia straniante che ci afferra, ci cattura, ci trascina dentro e ci annulla, liberandoci.
Ciò perché il dettaglio del filo d’erba, del ramo, di un tronco d’albero caduto, espresso peraltro con perizia tanto certosina e minuziosa quanto sofisticata è la qualità del realismo e raffinata la tecnica dell’acquarello, partecipa, per così dire, di un’anima mundi, una spinta emozionale che sale, avvolgendo l’intera composizione che ramifica in un intreccio compulsivo ed energetico che “fa mondo“ e comprende ogni cosa, persino il riguardante, che in quella dimensione sente che vorrebbe immettersi correndo.
E’ l’effetto voluto dall’artista. L’inganno di una realtà illusoria che trionfa con l’arte, che non è che un mezzo per dire la verità mentendo.

Ornella Fazzina, Residenze d’arte, ZAC, 2008

Ornella Fazzina, Residenze d’arte, ZAC, 2008

Inserito in un ambito di contaminazione e trasversalità di linguaggi, la sapiente commistione di fotografia e nuovi media operata da Delfo Tinnirello, trae la sua narrazione da una osmosi natura – uomo, dando quasi una valenza panteistica alla sacralità di frammenti corporali che inglobano l’elemento naturale. Una metafora, questa, di una rinascita spirituale dove l’essere umano si ricongiunge alla forma ancestrale e totalizzante.

Giuseppe Frazzetto, dal catalogo Svelamento, 2002

Giuseppe Frazzetto, dal catalogo Svelamento, 2002

…Delfo appartiene infatti a quel ristrettissimo numero d’artisti per i quali produrre immagini significa compiere un atto irrevocabile, in parte rituale ed in parte sempre-nuovo, nel quale si evocano presenze immaginali altrimenti destinate a rimanere imperscrutabili. ( Sia detto per inciso: facendo riferimento alle tematiche d’un autore a lui caro, Hillmann, questa tensione esistenziale potrebbe anche descriversi osservando che Delfo è un sempre-ragazzo, pur essendo nato-vecchio) …s’intuisce che per Delfo ogni atto sia da considerare come servizio e come testimonianza, secondo una radicale visione religiosa. A maggior ragione, gli appare testimonianza d’un servizio verso se stesso e verso lo Spirito l’atto più astratto e simbolico, cioè l’atto della produzione artistica, così come lo intende una lunga tradizione. Già dai titoli scelti per le sue personali (Parusia, Terra Celeste, l'attuale Svelameto) Delfo esplicita la sua concezione di quella testimonianza di servizio: l'agire artistico, ovvero il produrre senza finalità pratiche, è per lui consustanziale all'apparizione di un che di nascosto, di altrimenti indecifrabile ed enigmatico, ma per ciò stesso di più profondo e, infine, vero. Non è difficile allora notare come le sue motivazioni di poetica, nonché gli esiti della sua ricerca artistico-religiosa, possano apparire irrimediabilmente ma nobilmente inattuali in un’epoca in cui troppo spesso si proclama il totale e definitivo naufragio d’ogni valenza seria dell’immagine, ridotta così a vano simulacro decorativo...

Giuseppe Condorelli, Giornale di Sicilia, 4 aprile 2001

Giuseppe Condorelli, Giornale di Sicilia, 4 aprile 2001

…Un tratto quello dell’artista siciliano privo di sfumature cromatiche, un colore utilizzato in funzione simbolica, deciso ma la cui luce è assorbita dal nero di fondo, buio primevo da cui tutto ri-parte con un atto di lucida speranza. Che è l’offerta ultima della Necropoli della Memoria il cui titolo ossimorico lascia paradossalmente incrociare, attraverso figure archetipiche da evocare - il Sacrificio, la Morte, il Cristo risorto, l’Angelo della giustizia – lo spazio dove si custodisce ciò che non è più a ciò che è un continuo richiamo: sono proprio quei segni grafici-carboni su tela – quasi antiche incisioni rupestri, testimonianza interiormente remote a emanare una sacralità intangibile ed esemplare (Colazione in Galleria, Arte Club, Catania).

Francesco Carbone, Lumina /Limina, a cura di Franco Spena, 1995

Francesco Carbone, Lumina /Limina, a cura di Franco Spena, 1995

Quella di Tinnirello è la poetica del “lugubre”, del funereo, ma non come inevitabile “fato” che insidia l’uomo per condurlo alle “assenze” definitive di se stesso, dopo un esistere dagli orizzonti chiusi, inesplicabili. Forse un “male della vita” sorregge la lucidità (razionale) visione di questa artista, invitandoci a coglierne il senso, quel punto focale che ci accomuna. Di quest’ultimo, Tinnirello evidenzia il bisogno della durata, durare nella memoria attraverso la conservazione del simulacro. Così, nicchie e reliquiari atipici custodiscono, nel fondo buio degli stessi, parte di ciò che deve essere tramandato. In quanto scatole in fondo a cui c’è qualcosa da vedere, i reliquiari somigliano a macchine endoscopiche.
Ciò che è lì, al fondo al nostro sguardo, come un campo profondo, è l’oggetto del segreto che nessuno deve violare.
Questo divieto, che significa anche, o che rende una particolare estetica della visione, consente alle opere di Tinnirello di essere e di proporsi nella suggestione di un’incisiva metafisica del segreto.

Franco Spena, “ Terra Celeste “, 1997

Franco Spena, “ Terra Celeste “, 1997

“… L’invisibile è forse ciò che ricerca Delfo Tinnirello nel silenzio delle sue opere. Un silenzio cercato oltre le cose, oltre la natura, oltre il mondo. … Come dire, compone nel silenzio parole di silenzio, quasi per rigenerare, per nascondimenti segreti, le cose a nuove nascite. Trova così la fascinazione non dell’oggetto ma di ciò che sta oltre l’oggetto attraverso una rinuncia all’immagine per esplorare zone che stanno oltre le immagini…. Scendere dentro gli oggetti è perciò un mettere in relazione la propria interiorità col vissuto delle cose, attraverso un atteggiamento di raccoglimento che si sviluppa per le strade del silenzio. Il silenzio dunque come ricerca di parole che vengono dal profondo; il buio come cammino che nasconde strade che portano alla luce. Le sue opere dunque appaiono forme in attesa, in attesa di uscire dal segreto per rivelare i ritmi caldi interni di una notte piena di pulsioni di vita. Non è una percezione per lo sguardo che Tinnirello cerca perciò, ma la percezione di una visione profonda, interiore che architetta le sue armonie in zone nascoste e intime”…

Lucio Barbera, “ La Sicilia è un Arcipelago “, 1998

Lucio Barbera, “ La Sicilia è un Arcipelago “, 1998

Come un naufrago, che tutto ha perduto tranne che la voglia di ricominciare, e come un poeta capace di dir tutto in un solo verso, così Delfo Tinnirello si aggira per il mondo. Anzi per i mondi: quello suo interiore e quello reale. Attraverso il recupero dei relitti, di ciò che appartiene alla sfera dello scarto e dell’abbandono, così come al capriccio del caso e del destino, l’artista va componendo le sue icone della ricostruzione, le sue reliquie preziose. E quei materiali poveri, destinati alla morte, sono i suoi strumenti di lavoro, la sua testata d’angolo di un’operazione di riformulazione della realtà in chiave sacra e poetica. Con essi l’artista indica il rinascere. C’è un senso antico nella sua pittura di cose ( tale la considero, più che oggetto ), il senso di una straniante fralezza destinata a durare per sempre, perché ha già scelto la sua strada tra il vivere per morire e il morire per vivere.

Giuseppe Frazzetto, dal catalogo Parusia, galleria Pagano, Bagheria, 1989

Giuseppe Frazzetto, dal catalogo Parusia, galleria Pagano, Bagheria, 1989

…Una scultura che per medium ha materiali che sono però materia: frammenti di natura, frantumi di sfera primaria sottoposti a una manipolazione che introduce l’ulteriore primarietà d’un rapporto con l’esterno in fondo analogo all’originaria pulsione verso l’ornamento. Forme, di conseguenza, aperte a una dimensione antropologica, prelogica, ma che sfuggono al riferimento archetipale (di più sintetico carattere iconico) per tendere piuttosto alla funzione totemica d’un doppio simbolico che raccoglie e determina spazio reale. Forme senza forma, colorate di un non colore che rafforza il loro essere spazio; solenni, si direbbe commosse.
E solenne è l’intenzione di Tinnirello: la riflessione sui materiali e sulle forme è in primo luogo un processo di perfezionamento interiore. «Costruire all’esterno» è un modo per «imparare a costruire interiormente» un identico valore, un’identica armonia… l’esterno che si sceglie e si ordina mantiene un che di luminoso, di incontrollabile; e, per il proprio carattere enigmatico, irriducibile alla ragione, non può che darsi in un determinato spazio, non può non cercare di crearsi uno spazio. L’opera tende allora a diventare Parusia, manifestazione sensibile dell’abissalità primeva, dell’inattingibile eppure sempre attuale indifferenziazione originaria…

Eva Di Stefano, mostra Parusia, Giornale di Sicilia,12 marzo 1989

Eva Di Stefano, mostra Parusia, Giornale di Sicilia,12 marzo 1989

“… la mostra bella e dolorosa di Delfo Tinnirello, giovane scultore siracusano, è come una grande installazione, dove le opere, pur senza perdere la loro individualità, creano un ambiente più che un percorso…. Si entra in un bosco di spettri, tra i resti ormai radi di una vegetazione ormai rinsecchita, macerata e infine coperta di muschio carbonizzato…. Tinnirello non simula il suo mondo di tetri residui d’erba e di bosco, ma utilizza direttamente materie vegetali, come rami, paglia, semi, che assembla suggestivamente trasmutandole, ma pure lasciando intatta la loro pregnanza organica…. Le superfici sono ruvide fabbricate a strati e contratte; le forme di matrice informale sono slanciate, disagevoli e quasi giacomettiane nella loro prosciugata magrezza, ma anche come gravate da una forza che le costringe ad attorcersi verso il basso o a pendere sconsolatamente come brandelli botanici, macerie filamentose di esistenza….”

Enrico Sesto, Barba Appuntita, 1984

Enrico Sesto, Barba Appuntita, 1984

…” Barba Appuntita dall’alto del mento guardava le strisce della tunica che giù giù precipitavano sulla tela nera, a terra. Era quello il problema che lo inchiodava ogni volta, quel nero profondo, quasi un pozzo angoscioso nel pavimento. B.A. la guardava proprio così come sporgendosi dall’alto di un pozzo. Il primo colore cadde come un sasso, poi silenzio, una corsa precipitosa e sola nel tempo di caduta, poi il tonfo, fine della corsa. B.A. fu consapevole, il pozzo era profondo. Il grosso pennello di peli neri pendulo dalla mano sinistra ebbe un sussulto quasi presentisse già i tragici vortici della materia. …B.A. seguiva attento e quasi meravigliato della ritrovata destrezza i segni colorati che i pennelli abbandonavano planando sulla tela nera, la paura c’era sempre ma c’era anche quella sensazione stupefatta per l’incanto luminoso dei colori, quasi una musica che rapendolo lo sottraeva a quel vuoto silenzioso… B.A. si meravigliò allorquando, all’improvviso, si sentì bagnare da caldi fiotti che precipitosamente gli si lanciavano giù dagli occhi. B.A. capì cosa era successo, gli era capitato altre volte, quel nero, era lui che lo faceva piangere ”…

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